Non so se il caso esiste, ma io ho spesso voglia di crederci: credere nel destino, nei segnali, nelle illuminazioni improvvise.
Così infatti è capitato che un giorno, sul mio divano, davanti alla mia adorata parete di mattoni con le solite mille candele intorno, sono finita a sfogliare l’ultimo numero di Casa Facile e ho trovato in un trafiletto la descrizione del profilo Instagram di una ragazza.
L’ho cercata subito e ho scoperto Zaira, che fotografa cibo come lo fotograferei io se i miei sposi invece che persone fossero piatti attraenti: cercando la luce e l’atmosfera più malinconica anche in un chicco di melograno.
Non solo, Zaira crea ceramiche Raku. Alla vista della sua collezione qualcosa si é aperto nella mia testa ed è entrata la luce, quella della famosa crepa di Leonard Cohen.
“La tecnica raku è una magia, un rituale antico che può insegnare molte cose. Per me è una ricerca continua della bellezza nell’imperfezione e allo stesso tempo, una connessione arcaica con la natura e con l’ imprevedibile.“ Dice lei.
E’ quello che fa la fotografia per me, dico io. Dalla ceramica Raku sono arrivata rapidamente al concetto di Wabi-Sabi.
Perché non ho mai letto niente su questa filosofia prima? Rappresenta tutto quello che sono, che cerco, che mi parla e crea una rivoluzione nella mia testa.
Wabi-Sabi significa cercare e apprezzare la bellezza nell’imperfezione, nelle forme irregolari, nelle crepe.
Leggo che Wabi-Sabi è l’asimmetria, l’unicità del fatto a mano, una ciotola sbeccata, le maniche rovinate del maglione preferito, un muro di mattoni che sbuca dalla carta da parati (sì, come il muro di mattoni nel mio salotto – quello che ho costruito apposta, anzi Andrea ha costruito), la pianta che rompe il cemento, la prima bozza di uno scritto difficile.
Nel mio lavoro, nella mia estetica, Wabi-Sabi é il bouquet grezzo e selvaggio, un labbro con una piccola crepa, un’immagine non perfettamente a fuoco, il vento che rovina – o forse no – la pettinatura della sposa, un matrimonio intimo in mezzo alla natura più semplice e rustica, la pioggia che rovina – o forse no – il matrimonio, i piedi nudi, il lasciarsi avvolgere dal flusso della giornata senza forzarla, senza lottare per raggiungere ideali di perfezione inutili.
Non mi colpisce la perfezione, si sarà capito, per questo non ho mai trovato interessanti e nemmeno affascinanti i matrimoni e i servizi fotografici patinati da blog di tendenza, mi colpisce l’autenticità un po’ imperfetta. L’imperfezione non è banale, non è mai noiosa e soprattutto è emozionante.
QUESTO É QUELLO CHE CERCO NEL MIO LAVORO, QUESTE SONO LE PERSONE CON CUI VORREI LAVORARE: QUELLE CHE abbracciano il WABI-SABI, CHE SONO ATTRATTE DA CIÒ CHE È UNICO, CHE vivono l’ISTANTE E LO LASCIANO ESSERE, CHE RIESCONO A PERCEPIRE UNA MALINCONICA BELLEZZA NELLE IMPERFEZIONI DELLA VITA E DELLE COSE.
Io nel dubbio, a dicembre inizio un corso di ceramica Raku e spero di scoprire altra bellezza nelle crepe.
TUTTE LE FOTO SONO STATE CONCESSE GENTILMENTE DA ZAIRA ZAROTTI, THE FREAKY TABLE.
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